Cosa non va con i Social Network (Seconda Parte)
Autore: Esservion
Nella seconda parte della disamina su cosa non va con i social network, vediamo più da vicino alcune caratteristiche peculiari.
Leggi anche: Cosa non va con i Social Network (Prima Parte)
Cosa non va con i social network: i dettagli
La caratteristica fondante delle piattaforme social è la loro orizzontalità.
Teoricamente tutti possono comunicare allo stesso livello e di fatto viene a mancare la necessità di intermediari di professione, ergo entra in crisi la funzione classica del giornalista per come era intesa fino a quel momento.
Le piattaforme social
Le quattro piattaforme principali hanno caratteristiche differenti che influiscono sulla qualità del messaggio.
Instagram rappresenta l’evoluzione di quella che gli anglofoni chiamano photo opportunity.
Non ha alcuna valenza di contenuto se non quella dare una certa immagine di sé e di manifestare la propria presenza.
Twitter ha aumentato la diffusione dei cosiddetti sound bite, vale a dire dichiarazioni brevi che sintetizzano superficialmente la posizione di un utente più o meno noto al pubblico, riguardo una certa tematica.
Quello che prima era riservato ai titoli di giornale ora è diventata la prassi quotidiana dei personaggi pubblici, poiché dà l’opportunità di comunicare direttamente con il proprio uditorio saltando passaggi intermedi e (teoricamente) mettendosi sul suo stesso piano.
Infine Facebook mantiene certe caratteristiche tipiche del forum e del blog: non presenta particolari limiti di lunghezza dei contenuti pubblicati e permette una discreta interazione in tempo reale con i lettori.
Youtube è la piattaforma attraverso la quale è possibile, teoricamente, affrontare i più svariati argomenti in maniera approfondita, a discapito però di una comunicazione essenzialmente unidirezionale in cui c’è relativamente poca interazione tra mittente e destinatario.
Comunicazione politica e giornalismo mainstream sui social
All’atto pratico quali sono state le conseguenze sul piano comunicativo?
Per quanto riguarda la comunicazione politico-elettorale si è assistito a un vigoroso aumento della quantità ed a una corrispondente diminuzione della qualità e della profondità del dibattito.
Nel momento in cui la comunicazione è per così dire a ciclo continuo ed essendo sempre sotto i riflettori, si è in campagna elettorale permanente ed è molto difficile che la maggior parte dei messaggi riescano ad affrontare le questioni trattate con serietà.
Anzi, nel momento in cui potenzialmente chiunque può partecipare a un dibattito social, nel venire incontro alle capacità cognitive di tutti deve per forza aumentare la comprensibilità dei messaggi a danno della loro qualità.
Analogamente anche il giornalismo più o meno professionale si è ritrovato a inseguire questa nuova modalità comunicativa.
L’espediente del clickbait
I social servono come rimando agli articoli presenti sui siti Internet, per cui si fa molta presa su titoli che attirino l’attenzione e spingano l’utente ad andare a leggere il contenuto, il cosiddetto clickbait.
Se il lettore non “clicca” sul link non andrà al quotidiano online alcun introito pubblicitario.
I quotidiani e i periodici tradizionali sono stati costretti pertanto dalla necessità economica ad adeguarsi.
Ciò si è ripercosso sulla qualità della professione giornalistica: la stragrande maggioranza dei giornalisti online è sottopagata “a cottimo”, per cui è costretta a scrivere un grande numero di articoli al scopo di attirare visualizzazioni.
Il livello del contenuto è sempre più in secondo piano.
Tuttavia va detto che questa non è la condizione di tutti i giornalisti.
Da un lato alcuni sono riusciti ad acquisire lo status di influencer per cui hanno una platea talmente vasta che gli consente un certo ritorno economico (diretto o indiretto).
Altri nei posti dirigenziali continuano a ricevere esorbitanti stipendi non tanto legati ai risultati commerciali dei giornali che dirigono quanto alla qualità della loro difesa degli interessi degli stakeholders che stanno dietro ai gruppi editoriali.
In tal senso è opportuno rimarcare che a livello internazionale, così come per molti altri settori economici, si è andati negli ultimi anni verso un oligopolio dell’informazione mainstream che sarebbe ingenuo pensare vada incontro al pluralismo delle posizioni.
Controinformazione e fake news
Contraltare di questa situazione è rappresentata dalle pagine/profili della cosiddetta controinformazione che hanno approfittato della possibilità di poter interagire con un pubblico ampio a costi contenuti.
Molte figure senza scrupoli hanno cercato di ottenere un vantaggio economico da questa situazione approfittando della credulità di molti utenti, puntando in maniera decisa sullo strumento del clickbait, sull’informazione spazzatura.
In molti casi ciò si è tradotto nella diffusione di vere e proprie notizie false, intitolando le proprie pagine o con nomi altisonanti dal forte richiamo o con nomi che ricordano quelli di quotidiani o periodici già conosciuti.
Al mondo della controinformazione appartengono tuttavia anche pagine che cercano in maniera più seria di pubblicare avvenimenti altrimenti non noti attraverso il mainstream e di presentare la visione di un fatto da punti di vista alternativi.
Va detto che questa operazione non riesce sempre, o per errori di valutazione, anche dovuti alle scarse disponibilità economiche e professionali, o alla tentazione di ricadere in dinamiche che aumentino la propria diffusione pubblica e di conseguenza il fatturato.
Tuttavia è allarmante riscontrare come le istituzioni e il mainstream tendano a delegittimare tout court le posizioni dissenzienti mettendole tutte in un unico calderone di manigoldi diffusori di fake news.
Il timore è che con questo pretesto, in parte valido, si colga l’occasione di zittire le opinioni ritenute scomode.