Scientismo vs Complottismo (Prima Parte)
Autore: Esservion
Scientismo vs Complottismo: la diffusione del virus SARS-CoV-2 ha scatenato, in particolare sui social network, quella che si può definire a tutti gli effetti una guerra dell’informazione. Quali sono gli schieramenti contrapposti?
Scientismo vs Complottismo
Va già premesso che nei fatti non esistono in quanto tali come fossimo in un reale campo di battaglia, ma si tratta di quelli che il sociologo Max Weber chiamava idealtipi, vale a dire «un quadro concettuale il quale non è realtà storica e neppure la realtà vera e propria, ma serve come schema in cui la realtà viene ricondotta come esempio; esso ha il significato di un concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico» [1904][1].
Si tratta dunque di generalizzazioni che aiutano identificare gruppi di individui dalle caratteristiche ed atteggiamenti comuni relativamente ad alcune questioni e ambiti.
Fatta questa premessa chiamerò per semplicità i due schieramenti scientista e complottista: due estremizzazioni dello spettro di opinione riguardo ad esempio il tema Covid. Probabilmente la maggioranza delle persone ha opinioni che si posizionano fra questi due estremi.
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Lo schieramento scientista
Lo scientista aderisce fideisticamente alla narrativa ufficiale dettata a livello istituzionale principalmente attraverso i media main stream e in parte attraverso i messaggi lanciati da alcuni influencer (leader d’opinione) che mediante i social network influiscono sulla definizione degli elementi cognitivi atti a leggere un determinato fenomeno da parte dei loro seguaci.
Il sillogismo attraverso il quale lo scientista porta avanti le sue idee parte dal presupposto che hanno basi scientifiche, e che sono perciò misurabili e dimostrabili empiricamente.
Tutto ciò che vi si contrappone entra nel campo dell’irrazionalità e dell’antiscienza, quindi non può essere valido.
Questo tipo di argomentazione ricorda molto il medievale “ipse dixit” riferito ad Aristotele sulla cui dialettica si basava il dibattito filosofico di quel tempo.
Il pensiero scientista risale invece al XIX secolo e deriva dalla corrente di pensiero positivista, secondo la quale attraverso il metodo scientifico e l’analisi empirica dei dati raccolti era possibile soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo.
È proprio in quell’ambito che nasce la sociologia, nel tentativo di “misurare” la società per poterla capire e migliorare.
La crisi del pensiero positivista
Tale visione inizia a entrare culturalmente in crisi con i due conflitti mondiali, poiché molti intellettuali si rendono conto che scienza e tecnica possono migliorare ma anche distruggere il mondo.
È il periodo in cui si sviluppano visioni basate maggiormente sull’incertezza delle capacità umane e sulla critica, di ispirazione marxista, della società industriale e tecnologica.
Se a livello culturale queste cose vengono messe in discussione ciò non avviene a livello pratico: lo sviluppo tecnologico sazia da un lato la sete di guadagno del mercato capitalistico e dall’altro è alimentato dal confronto tra i due blocchi contrapposti nella guerra fredda.
È proprio in questo contesto che nel 1964 Umberto Eco scrive il saggio «Apocalittici e integrati» in cui contrappone tali idealtipi che da uno schieramento vedono la società industriale di massa come il male e dall’altro vi aderiscono con acritico ottimismo.
Con una forzatura potrebbe essere considerata una sorta di anticipazione dello scontro scientismo vs complottismo.
La società tecnocratica
Con la fine della contrapposizione ideologica e quella che Francis Fukuyama chiama «fine della Storia» [1992], prende il largo il concetto e l’applicazione di una società tecnocratica, cioè di una società dove idealmente governano l’efficienza e le capacità tecnico-scientifiche.
In questo quadro si diffonde l’idea ad esempio che le decisioni macroeconomiche non debbano essere tanto vincolate ad aspetti ideologici e politici quanto semplicemente alle capacità professionali dei funzionari che prendono tali decisioni.
Il sillogismo è: competenza = correttezza. Analogamente le decisioni prese a livello scientifico-sanitario sono sostanzialmente indiscutibili se non all’interno di cerchie ristrette di specialisti in quanto sono gli unici a possedere gli strumenti cognitivi per analizzare una questione e prendere le conseguenti decisioni.
Il governo tecnocratico tende perciò in senso generale a escludere dal dibattito quelle categorie di persone che non sono considerate competenti in quel campo specifico.
Questo si può vedere chiaramente ad esempio nella struttura governativa dell’Unione Europea in cui a prendere le decisioni sono istituzioni ed enti composti da persone (in teoria) qualificate e che sostanzialmente non hanno un vincolo particolare nei confronti dell’elettorato europeo, chiamato al massimo a eleggere i membri del Parlamento, che ha per ora un potere solo consultivo.
Nel caso italiano i governi “tecnici” e le “task force” rappresenterebbero allo stesso modo una soluzione temporanea atta ad affrontare una situazione eccezionale per cui non è richiesta una visione politica ma una serie di competenze specifiche.
Se ne desume che le decisioni prese da un governo tecnico, così come quelle prese da un ente europeo, non abbiano valenza politica, ma soltanto funzionale alla risoluzione di un problema pratico.
Paradigmi scientifici
Quelli che in linea teorica sono presupposti completamente razionali e difficilmente controvertibili non tengono però in considerazione che le discipline tecnico-scientifiche possono essere considerate astratte in quanto tali ma applicate alla realtà vengono sempre influenzate dal fattore umano: entrano quindi in ballo elementi sociali, politici, culturali, etici ed economici.
Proprio la macroeconomia, in particolare a partire dalla crisi borsistica del 2008, è stata messa in discussione in quanto, pur essendo largamente basata su modelli matematici, risente molto dell’impostazione ideologica e politica delle autorità che prendono le decisioni.
Un discorso simile vale anche per la comunità scientifica, che, secondo la visione idealistica dello scientismo, progredisce attraverso un dibattito aperto, basato sul confronto delle ricerche praticate dai suoi membri.
Nella pratica, così come qualsiasi altro fenomeno sociale, anche fra gli scienziati possono sorgere dinamiche di contrasto legate a fattori esterni.
A tal proposito il filosofo e fisico Thomas Kuhn ha scritto nel 1962 il saggio «La struttura delle rivoluzioni scientifiche» in cui analizza come nella Storia siano avvenuti diversi cambi di paradigma scientifico, che sono stati sempre traumatici in quanto gli assertori del vecchio paradigma, partendo da una posizione dominante, utilizzavano la loro influenza (politica, economica, culturale) per scoraggiare tali cambiamenti.
Secondo Kuhn i «nuovi paradigmi non nasceranno quindi dai risultati raggiunti dalla teoria precedente (come un naturale proseguimento del “progresso” scientifico) ma, piuttosto dall’abbandono degli schemi precostituiti del paradigma dominante[2]» [Kuhn, 1962].
Critiche allo scientismo
In conclusione questa visione idealistica della scienza rischia facilmente di cadere in un dogmatismo metodologico.
Secondo il sociologo ed economista Friedrich Von Hayek «lo scientismo infatti ha la presunzione di saper comprendere realtà complesse come le istituzioni sociali sulla base delle proprie fallibili conoscenze scientifiche, ignorando che le società e i rapporti in essa vigenti sono sempre il risultato non voluto e non intenzionale delle azioni dei singoli individui, e non possono essere disegnate e ricostruite a piacimento» [1942][3].
Sulla stessa scia il filosofo Karl Popper ritiene tale dogmatismo come presupposto di un totalitarismo ideologico, «dato che esso ritiene di avere cognizioni sufficienti per pianificare ogni progettualità umana in maniera oggettiva, escludendo i fattori soggettivi come dei fastidiosi inconvenienti[4]» [Borghini, 2000].
Popper teme «l’eventualità che la passività tecnica tipica dell’addestramento scientifico divenga una cosa normale [e vede] un grande pericolo nell’aumento della specializzazione, che è anch’esso un fatto storico innegabile: un pericolo per la scienza e, in verità, anche per la nostra civiltà[5]» [Popper, 1970].
Scettico sulla presunta oggettività del metodo scientifico Popper arriva a suggerire che «Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere» [Popper, 1972][6].
Vai alla seconda parte.
Note:
[1] M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, 1958, Einaudi, ed. or. 1904.
[2] T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 2009, Einaudi, ed. or. 1962.
[3] F. Von Hayek, Scientism and the Study of Society, pubblicato sulla rivista Economica, Wiley 1942-44.
[4] A. Borghini, Karl Popper: politica e società, pp. 91-92, FrancoAngeli, 2000.
[5] K. Popper, La scienza normale e i suoi pericoli, Feltrinelli 1984, ed. or. 1970.
[6] K. Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico, Arnaldo editore, 2002, ed. or. 1972.